La Corte Costituzionale ha accolto in parte il ricorso del governo contro la legge della Toscana sul fine vita, che regola modalità organizzative e tempi per accedere al suicidio medicalmente assistito. La Corte ha ritenuto che nel suo complesso la legge regionale “sia riconducibile all’esercizio della potestà legislativa concorrente in materia di tutela della salute e persegua la finalità di dettare norme a carattere meramente organizzativo e procedurale” per “disciplinare in modo uniforme l’assistenza da parte del servizio sanitario regionale alle persone che chiedano di essere aiutate a morire”.Per i giudici, numerose sue disposizioni hanno però illegittimamente invaso sfere di competenza riservate alla legislazione statale. Ad essere bocciati, in particolare, l’articolo 2 che individua i requisiti per l’accesso al suicidio medicalmente assistito; gli articoli 5 e 6 in tutte le parti in cui prevedono stringenti termini per la verifica dei requisiti di accesso e la definizione delle modalità di attuazione e l’articolo 7, comma 1, che impegna le aziende sanitarie locali ad assicurare il supporto tecnico e farmacologico nonché l’assistenza sanitaria per la preparazione all’autosomministrazione del farmaco autorizzato. In ogni caso la Consulta “ha ritenuto che l’introduzione di una disciplina a carattere organizzativo e procedurale come quella impugnata non possa ritenersi preclusa dalla circostanza che lo Stato non abbia ancora provveduto all’approvazione di una legge che disciplini in modo organico, nell’intero territorio nazionale, l’accesso alla procedura medicalizzata di assistenza al suicidio”. Soddisfatto della pronuncia il presidente della Regione Eugenio Giani sostenendo che “riconosce la legittimità e i contenuti sulla materia” del fine vita, tema “su cui si è registrata l’assoluta assenza dello Stato quando con sentenza 242/2019 la stessa Corte aveva invitato, a provvedere, il legislatore statale”.
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