La procura procede a passo spedito con le inchieste sul carcere di Prato finito sotto i riflettori dopo i sequestri di telefonini e droga a disposizione dei detenuti e per la rivolta del 5 luglio, l’ultima di una lunga serie.
Il procuratore, Luca Tescaroli, ipotizza il reato di accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione a carico di 33 persone. Si parla di 41 apparecchi tra telefoni cellulari di ultima generazione, microtelefoni e smartwatch, e di due schede telefoniche che i detenuti dei reparti di ‘alta sicurezza’ e ‘media sicurezza’ utilizzavano per comunicare con l’esterno. I dispositivi – spiega la procura – erano in uso a detenuti italiani, macedoni, albanesi, georgiani e filippini. Un uso intensivo tanto che sui social è finito il video di un detenuto italiano che, dalla sua cella, ha fatto almeno una diretta con tanto di follower, commenti e scambio di battute.
Sul fronte degli stupefacenti, l’introduzione nelle celle della Dogaia di cocaina e hashish è contestata a un detenuto italiano e ad un altro macedone. Droga rinvenuta, in un caso, all’interno di un barattolo di sugo, e nell’altro caso nella cella.
Droga che ha continuato ad essere nascosta dai detenuti anche dopo la maxiretata dello scorso 28 giugno che ha letteralmente messo sottosopra l’istituto con il massiccio intervento di forze dell’ordine e di reparti speciali della polizia penitenziaria a caccia di stupefacenti e telefonini. La procura riferisce che il 7 luglio sono stati trovati 5 grammi di hashish divisi in dieci dosi e il 19 luglio ne sono stati trovati altri 40 in un frigorifero.
Per quanto riguarda la rivolta del 5 luglio, messa in atto per protestare contro la maxiretata, sono stati notificati gli avvisi di conclusione delle indagini a nove detenuti di nazionalità albanese, marocchina, italiana e polacca. A quel disordine aveva preso parte anche il detenuto romeno di 58 anni trovato senza vita il 18 luglio nella cella di isolamento nella quale era stato rinchiuso in seguito ad una sanzione disciplinare emessa dopo la rivolta. Secondo l’autopsia, l’uomo è morto per arresto cardiaco ma sono in corso ulteriori accertamenti tecnici (il procuratore ha fatto acquisire le immagini della videosorveglianza interna al carcere).
Le indagini sull’ingresso di droga nel carcere sono state affidate alla polizia che ha individuato nella Casa Jacques Fesch, struttura della Diocesi di Prato situata a Narnali, messa a disposizione dei detenuti che beneficiano di permessi premio o vicini al fine pena, la centrale di smistamento. Qui, stando agli investigatori, veniva nascosta la droga destinata alla Dogaia.