PRATO - Azienda smantellata dopo i controlli della Asl, i lavoratori la occupano con l’appoggio dei Sudd Cobas

Presidio permanente dentro la fabbrica dal 26 giugno per evitare che vengano smontati e portati via anche gli ultimi macchinari rimasti. Il sindacato: "Confidiamo che il procedimento avviato dopo l'ispezione venga portato a termine e che agli operai venga dato il permesso di soggiorno". Denunciata la situazione di sfruttamento e di lavoro a cottimo
Nadia Tarantino
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Un quaderno pieno di numeri incolonnati: codice dell’articolo, pezzi lavorati, retribuzione unitaria e retribuzione complessiva. Un quaderno per ognuno degli operai della confezione San Martino, senza lavoro dal 26 giugno e da allora in presidio permanente dentro il capannone per rivendicare stipendi, diritti e tutele. Siamo in via Bisenzio a Prato. All’ingresso gli striscioni e le bandiere di Sudd Cobas, il sindacato autonomo che da anni si batte contro lo sfruttamento del lavoro al fianco dei meno garantiti, dei meno protetti, dei meno salvaguardati. “Qui – dice Arturo Gambassi – il gestore ha cominciato a smantellare i macchinari con l’intenzione di spostare l’attività altrove per sfuggire alle sanzioni della Asl che poche ore prima aveva concluso un’ispezione. I lavoratori ci hanno chiamato e da ormai venti giorni, assieme a loro, stiamo dentro il capannone giorno e notte per evitare che venga smontato e portato via il resto delle macchine per cucire”.
Una decina gli operai. A cottimo. Operai bengalesi, cingalesi, africani, pachistani. “Di quaderno ne è rimasto solo uno – spiegano – perché gli altri sono stati sequestrati”. L’unica testimonianza di infinite giornate di lavoro viene conservata come una reliquia: “Guarda signora – dice un ragazzo in un italiano stentatissimo – questo lavoro lo pagavano un euro a pezzo perché è difficile cucire i pantaloni. Per guadagnare bisogna fare veloce, e se cuci tanto prendi più soldi”. Pezzi pagati spiccioli, al massimo un euro e mezzo se proprio si tratta di una lavorazione particolarmente complessa. “Voi italiani non lo sapete e non ci credete – dice un altro lavoratore – ma noi stiamo in fabbrica anche 14 ore al giorno, tutti i giorni, senza riposo. E se un giorno ti senti male, niente soldi”.
Sudd Cobas porta avanti la sua battaglia. “Il gestore è sparito – racconta Arturo Gambassi – non sappiamo dove sia finito, di lui solo una notizia qualche giorno fa: ha smesso di pagare affitto e bollette della casa che aveva preso per gli operai che ora rischiano di restare anche senza un tetto”. La strada intrapresa è quella di richiamare alla responsabilità i committenti della confezione: “Abbiamo individuato cinque pronta moda del Macrolotto e abbiamo inviato e-mail per chiedere di sedersi ad un tavolo e affrontare la questione – ancora Gambassi – al momento abbiamo ricevuto risposta soltanto da uno. Il pronto moda è l’anello finale della catena, il più forte: confidiamo che capiscano cosa sta succedendo, che comprendano cosa è giusto fare, che spingano la confezione a riprendere il lavoro e a garantire i livelli occupazionali”. Una strada non facilissima, ma forse l’unica possibile.
I lavoratori sperano e sventolano i contratti di lavoro: “Guarda signora, qui è scritto venti ore a settimana ma io ne ho fatte tante di più per cucire il più possibile e guadagnare”. Contratti misti, per chi ce l’ha: a tempo indeterminato, a tempo determinato, part time, full time.
“Diritti e tutele per tutti è quello che il nostro sindacato chiede – aggiunge Gambassi – lavoro regolare, senza sfruttamento, otto ore al giorno per cinque giorni a settimana”. Speranza e fiducia negli ispettori della Asl: “L’auspicio – aggiunge il sindacalista – è che il procedimento avviato dopo l’accesso del 26 giugno venga portato a conclusione e porti possibilmente ai permessi di soggiorno. Bene i controlli, anzi benissimo, ma dobbiamo prendere atto che le armi sono spuntate dal momento che appena conclusa l’ispezione, nel giro di un paio di ore, il titolare ha cominciato a smantellare l’azienda e di lui oggi non sappiamo niente. Serve anche il presidio sindacale, servono gli scioperi, serve l’azione collettiva dei lavoratori per accendere un faro su situazioni come questa dove gli operai restano a mani vuote, senza sapere se e quando qualcuno pagherà gli stipendi arretrati, se e quando torneranno a lavorare, se e quando finirà lo sfruttamento”.     

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