CALENZANO (FI) - Un anno fa l’esplosione nel deposito Eni

Nadia Tarantino
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Un anno dalla tragedia al deposito di carburanti Eni a Calenzano. Un anno dai cinque morti, dai ventisette feriti (due dei quali vivi per miracolo), dai danni a fabbricati, automobili, autotreni provocati dalle quattro esplosioni in rapida sequenza che alle 10.21 del 9 dicembre 2024 devastarono lo stabilimento trasformandolo, ad appena dieci mesi di distanza dalle cinque vittime del crollo nel cantiere Esselunga in via Mariti a Firenze, nello scenario di un nuovo dramma sul lavoro.
Vincenzo Martinelli, 51 anni, e Carmelo Corso, 57, autotrasportatori di Prato; Davide Baronti, 49 anni, autotrasportatore di Bientina; Gerardo Pepe, 45 anni, operaio della provincia di Potenza; Franco Cirelli, 50 anni, tecnico della provincia di Matera. Vite spezzate in un attimo: le prime tre mentre facevano rifornimento di carburante, le altre due mentre lavoravano alla trasformazione di una vecchia linea di benzina senza piombo in linea di olio vegetale idrotrattato. Due attività diverse nello stesso luogo ma soprattutto, come dirà qualche settimana dopo la procura di Prato sulla base di una superperizia affidata a un pool di esperti, due attività che non avrebbero dovuto coesistere, che non si sarebbero dovute svolgere contemporaneamente.
A un anno dalla tragedia, l’inchiesta, arrivata alla fase conclusiva dell’incidente probatorio, è ancora aperta. Oltre alla società Eni, sul registro delle notizie di reato il procuratore Luca Tescaroli ha iscritto dieci indagati: otto tra dirigenti e responsabili di settore di Eni e due referenti, tra loro uno dei feriti rimasti gravemente ustionati, della Sergen, l’azienda lucana specializzata nella manutenzione di impianti petroliferi. Le accuse a vario titolo: omicidio colposo plurimo, disastro colposo e lesioni personali colpose.
La perizia della procura dice che l’intervento degli operai di Sergen generò una fuoriuscita di benzina che durò 33 secondi fino ad innescare, probabilmente attraverso il motore del carrello elevatore su cui si trovavano, le esplosioni. Per l’accusa – convinta che sia stato commesso un ‘errore inescusabile’, per usare le esatte parole del procuratore Tescaroli – non fu solo un problema di interferenza tra attività (l’intervento sulla linea di carburante e il rifornimento delle autobotti), ma anche la presenza di una fonte di innesco in un’area di lavoro considerata Zona 2 per il rischio esplosione ma la cui classificazione corretta avrebbe dovuto essere invece Zona 1.
Corposa la schiera di avvocati che assiste le parti civili, impegnata anche in una trattativa economica con Eni per il riconoscimento dei risarcimenti. Ma c’è altro sul deposito Eni. C’è una seconda inchiesta, incentrata su un presunto danno ambientale che sarebbe stato provocato dallo sversamento di carburante nel suolo dopo l’incidente.

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