ROMA - I giudici di Cassazione: “Astori si sarebbe salvato se fosse stato sottoposto ai necessari esami”

Depositate le motivazioni della condanna a un anno inflitta al medico pratese Giorgio Galanti per la morte del capitano della Fiorentina avvenuta mentre era in ritiro con la squadra
Claudio Vannacci
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La morte di Davide Astori, il capitano della Fiorentina scomparso il 4 marzo 2018 mentre era in ritiro a Udine con la squadra, poteva essere evitata. E’ questa la convinzione dei giudici della Cassazione espressa chiaramente nelle motivazioni della sentenza di condanna a 1 anno per Giorgio Galanti, medico pratese già direttore di Medicina dello Sport dell’ospedale di Careggi di Firenze, finito alla sbarra con l’accusa di omicidio colposo per la morte dell’ex capitano della Fiorentina.   

“Il decesso di Davide Astori – si legge nelle motivazioni – sarebbe stato evitato o, quantomeno, posticipato ad epoca significativamente posteriore” se il professor Giorgio Galanti “avesse prescritto gli esami necessari, consentendo una diagnosi corretta della patologia”.

Astori morì per le conseguenze di una fibrillazione ventricolare dovuta a una cardiomiopatia aritmogena mai diagnosticata. Il giocatore fu trovato privo di vita nella camera di albergo a Udine la mattina del 4 marzo 2018, dove era in ritiro insieme alla squadra viola.     

L’aritmia, si legge ancora nelle motivazioni, “osservata nel 2014 e poi ancora nel 2016 e nel 2017, in un atleta professionista sottoposto quotidianamente a sforzi fisici intensi doveva indurre, in base ad una buona pratica clinico-assistenziale, pur in assenza di familiarità e di sintomaticità, a sottoporre l’atleta ad indagine cardiologiche più approfondite (Holter nelle 24 ore, secondo il concorde parere degli esperti, e risonanza magnetica cardiaca) per escludere la natura patologica associata a cardiopatia della predetta extrasistolia”.     Il professore, invece, ha rilasciato due distinti certificati, non prescrivendo ulteriori accertamenti, “ritenendoli superflui”.  Si è così “discostato dalle linee guida vigenti all’epoca, omettendo di prescrivere esami diagnostici fondamentali per la sicurezza del paziente”. Per i giudici della Quarta sezione della Suprema Corte “l’omissione, reiterata in due distinte occasioni, ha impedito la diagnosi di una patologia potenzialmente letale in un giovane atleta professionista, con le conseguenze drammatiche che ne sono derivate”.

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