AGLIANA (PT) - Omicidio Cini, le motivazioni della sentenza: “Maiorino puntava ai soldi del cognato per risolvere i suoi problemi economici”

In 110 pagine spiegati i motivi che hanno convinto la Corte d'assise della colpevolezza dell'imputato condannato a 24 anni. Ricostruita tutta la storia. Esclusa l'aggravante: "Azione omicidiaria durata al massimo sei minuti, colpi inferti limitati e concentrati in un brevissimo arco di tempo, fuoco appiccato quando la vittima era già incosciente"
Nadia Tarantino
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Una montagna di debiti (tra lavoro precario e uso di cocaina) che ha schiacciato Daniele Maiorino, 59 anni, fino a convincerlo che con la  morte del cognato e vicino di casa, Alessio Cini, 57 anni, avrebbe potuto risolvere i suoi problemi attraverso la gestione del patrimonio ereditato dalla nipote ancora minorenne. E’ questo, secondo la Corte d’assise di Firenze, il movente dell’omicidio dell’operaio pratese, massacrato di botte e poi dato alle fiamme ancora vivo all’alba dell’8 gennaio 2024. Un’azione particolarmente cruenta la sua ma non al punto di reggere la contestazione dell’aggravante. Una morte orribile, una scena terrificante quella che carabinieri, vigili del fuoco e personale del 118 si trovarono davanti quando quella mattina arrivarono nel piazzale della villetta, in località Ponte dei Bini ad Agliana, in cui vivevano sia l’imputato con la moglie e la figlia che la vittima con la figlia. Maiorino, condannato a 24 anni di carcere per omicidio (avvocato Katia Dottore Giachino), agì, spiegano i giudici nelle 110 pagine di motivazione, per questioni economiche.

Una condanna contro cui la figlia della vittima aveva urlato la sua rabbia in aula (il pm Leonardo De Gaudio aveva chiesto l’ergastolo) e che si spiega con il fatto che i giudici non hanno riconosciuto l’aggravante della crudeltà: “La Corte – si legge – non sottovaluta le modalità cruente dell’uccisione (la persona colpita con un oggetto contundente, poi presa a calci e quindi data alla fiamme), ma non può non tenere in considerazione una serie di dati assolutamente certi: l’azione omicidiaria ha avuto una durata complessiva estremamente limitata nel tempo, verosimilmente sei minuti ma forse meno; non c’erano testimoni e non ci sono elementi per ritenere che ci siano stata una condotta di scherno o derisione verso la vittima; i colpi inferti sono di numero limitato e concentrati in un brevissimo arco di tempo; la vittima era già in stato di incoscienza al momento dell’appicco del fuoco; l’accensione del fuoco è stata possibile grazie all’uso della benzina acquistata dallo stesso Cini e che l’imputato ha quindi casualmente trovato sul posto”.

Diversi gli elementi che, nella lettura dei giudici togati e popolari, hanno portato alla condanna. Nelle carte viene ripercorso tutto del rapporto tra le due famiglie, del profilo di Maiorino, dei problemi economici della sua famiglia, delle mire sul Tfr che la vittima, operaio tessile con alle spalle 30 anni di lavoro, aveva chiesto per acquistare una porzione della villetta finita all’asta e soprattutto dei soliloqui intercettati in auto, poche ore dopo l’omicidio, con particolari che, in quel momento, solo l’assassino poteva conoscere. Elementi, questi insieme ad altri, che hanno inchiodato Daniele Maiorino.

Nove, nel dettaglio, i capitoli sviluppati dalla Corte d’assise: “L’imputato era l’unica persona di genere maschile presente nella villetta al momento dell’omicidio ed  è soggetto che in passato aveva manifestato aggressività; l’imputato dormiva in un locale posto di fronte al luogo dell’omicidio e poteva uscire di casa senza essere sentito o notato da alcuni familiare convivente; l’imputato ha riferito di non aver visto o sentito niente dell’aggressione del Cini e del successivo incendio, e inoltre il suo cane stranamente non ha abbaiato fino all’arrivo dei soccorritori; Maiorino nell’immediatezza dei fatti assume un comportamento innaturale: all’arrivo dei sanitari si mostra preoccupato di sapere chi abbia chiamato i soccorsi e individua subito nel corpo semicarbonizzato il cognato; Maiorino tenta immediatamente di sviare l’attenzione, gettando ombre sui vicini di casa con tesi infondate e assurde, dimostrando di essere all’oscuro di un dato centrale, cioè dell’esistenza della telecamera di proprietà dei vicini che inquadrava la scena del crimine; l’imputato non ha mai mostrato alcun senso di pietà o dispiacere per la morte del cognato, anzi sin dai primi momento successivi alla morte ha covato rabbia per la moglie separata della vittima manifestando intimamente delle preoccupanti intenzioni omicidiarie anche nei suoi confronti per ragioni economiche; su una scarpa di Maiorino è presente il sangue di Cini; nel corso delle intercettazione e dei soliloqui in auto, Maiorino rielabora quanto accaduto e di fatto confessa l’omicidio, descrivendo circostanze che solo l’assassino poteva conoscere; la famiglia Maiorino aveva gravi problemi economico-finanziari e l’imputato aveva chiaramente mirato ad appropriarsi in via indiretta delle risorse che la nipote avrebbe ereditato in seguito alla morte del padre”.

Ogni capitolo è stato ripercorso per spiegare le ragioni della sentenza di condanna. Non mancano i passaggi più crudi come la trascrizione dei soliloqui: Daniele Maiorino parla a voce alta mentre è in macchina da solo; “Proprio una fine di m., ho commesso un omicidio” e canticchia ‘Il mondo’ di Jimmy Fontana.  

Maiorino condannato a 24 anni: i giudici hanno applicato il massimo della pena prevista per  l’omicidio doloso non aggravato (“ulteriori circostanze aggravanti quali ad esempio i futili motivi o l’aver approfittato di condizioni di tempo e di luogo di minorata difesa, non sono state contestate dal pm”) è rinchiuso nel carcere di Prato. La difesa ricorrerà in Appello. (nadia tarantino)

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