Scontro al sit-in organizzato da Sudd Cobas in via Gora del Pero, davanti ai cancelli di Euroingro, ingrosso di abbigliamento tra i più grandi d’Europa. L’ennesima protesta contro lo sfruttamento del lavoro è diventata teatro di un’aggressione improvvisa: una trentina di cinesi ha letteralmente travolto il picchetto al grido di ‘mafia’. Una vera e propria guerriglia: sindacalisti e attivisti spintonati con forza e costretti a difendersi – anche loro urlando ‘mafia’ – i gazebo fatti volare in aria, una poliziotta buttata a terra e ferita così come un collega. La violenza è stata sedata nel giro di qualche minuto dalla polizia già presente sul posto e dall’arrivo immediato di rinforzi. Tre i cinesi fermati: uomini di 27, 30 e 60 anni accusati di resistenza a pubblico ufficiale e lesioni. La procura ha aperto un fascicolo e le indagini sono indirizzate a identificare altri cinesi che hanno preso parte alle violenze. “Il manipolo di cinesi era diretto a colpire i lavoratori che si trovavano nelle vicinanze di un gazebo ed era in atto una manifestazione sindacale pacifica – si legge in un comunicato del procuratore, Luca Tescaroli – il gruppo di cinesi non ha esitato a scagliarsi verso gli appartenenti alla Digos e a usare violenza nei loro confronti”.
“Lo avete visto anche voi – lo sfogo di Luca Toscano, anima del sindacato autonomo – un’aggressione sotto i vostri occhi, davanti alla polizia, un’aggressione contro un sit-in pacifico che chiede solo il rispetto delle regole, contratti di lavoro regolari, riconoscimento dei diritti. Per noi è una violenza che si aggiunge ad un lungo elenco che non finisce mai evidentemente e che è il segno del senso di impunità”.
Il presidio di Sudd Cobas, arrivato in via Gora del Pero per chiedere la regolarizzazione di cinque operai pachistani alle dipendenze di quattro diverse aziende, è scaturito dall’accordo saltato all’ultimo momento con gli imprenditori cinesi che – secondo il racconto del sindacato – venerdì scorso si sono presentati al tavolo con soldi in contanti per convincere i lavoratori a smettere la rivendicazione. “Non siamo merce in vendita”, la risposta del sindacato.
Ad entrare in azione non sono state le aziende al centro della vertenza: “Noi non c’entriamo nulla con quello che sta denunciato Sudd Cobas ma siamo bloccati lo stesso dalla protesta – dicono alcuni cinesi rifiutandosi però di dare un nome e un cognome, di dire cosa fanno lì dentro esattamente – ce l’hanno con quattro negozi e bloccano anche gli altri. Non fanno entrare i nostri clienti, ma che c’entriamo noi? Mica possono venire qui e bloccare tutti, e poi questa è proprietà privata”.
Difficile capire, difficile avere risposte dagli imprenditori cinesi: tantissimi quelli presenti dentro e fuori Euroingro ma nessuno che si qualifichi come titolare di uno degli oltre quaranta negozi aperti in questo incubatore, nessuno che si qualifichi come dipendente, o amministratore, o socio, o responsabile. Ma è Euroingro a finire nel mirino di Sudd Cobas: “Euroingro – ancora Luca Toscano – deve decidere se continuare a essere il centro di smistamento più grande d’Europa o dare spazio a chi opera attraverso il lavoro nero e lo sfruttamento. Ricordiamo che questo ingrosso è stato inaugurato alla presenza delle istituzioni cittadine”. La protesta del sindacato andrà avanti fino alla firma di contratti regolari: “Vogliamo turni di otto ore e non di dodici, su cinque giorni e non su sette a settimana – dice Arturo Gambassi – continueremo a stare qui, davanti a questi cancelli. Oggi siamo venti, domani saremo cento se serve”.
Ci sono anche i lavoratori sfruttati dentro Euroingro: “Lavoro qui da due anni – dice un pachistano – dodici ore tutti i giorni, paga bassa, e una volta sono stato chiuso in un magazzino per mezza giornata perché c’erano i controlli della polizia”. E mentre parla e spiega in un italiano stentato ma comprensibile, mostra il telefonino con una chat in inglese: è lo scambio tra lui e il titolare cinese proprio il giorno in cui è stato chiuso ore e ore per non essere visto da chi stava effettuando i controlli. “Posso uscire”? “No, c’è la polizia”. “Quanto devo stare qui ancora, non ho da mangiare. Posso mangiare”? “No”.
“Non è possibile che vestiti venduti a due-tre euro al pezzo siano un problema degli operai – la voce di Sudd Cobas – capi di abbigliamento venduti a una miseria grazie allo sfruttamento delle persone. Noi non tolleriamo più questa situazione, siamo stanchi. I lavoratori sono stanchi. Ci sono troppe zone grigie in questa città: dove si vuole andare? dove si vuole arrivare? quanto deve durare ancora tutto questo? cosa deve succedere per adottare finalmente soluzioni definitive”?
La replica delle quattro ditte cinesi oggetto della vertenza di Sudd Cobas è arrivata a stretto giro di posta tramite un legale incaricato di seguire la vicenda. Nel caso di un lavoratore, viene spiegato che si tratta di un richiedente asilo che, al momento dell’assunzione, avrebbe mostrato un biglietto aereo per Lisbona dicendo che sarebbe dovuto andare lì per prendere la patente. L’imprenditore ha collegato tale biglietto aereo all’esistenza di un permesso di soggiorno rilasciato dall’autorità portoghese e ha spiegato che non poteva procedere alla sottoscrizione di un contratto. Per un altro lavoratore, impiegato in un’altra ditta, l’accordo sarebbe saltato – viene spiegatoancora – per l’insistenza del sindacato ad un inquadramento di quarto livello e non di quinto come proposto trattandosi di operaio non qualificato. Altre due aziende, infine, avrebbero proposto contratti a tempo indeterminato a 4 ore al giorno che sarebbero stati rifiutati.
Per quanto riguarda il sit-in, viene ribadito che “non si è trattato di una iniziativa pacifica dal momento che, a fronte di quattro vertenze, è stato bloccato l’ingresso di merci e persone di un intero comparto composto da una quarantina di ditte”. (nadia tarantino)