Telefonini e droga nel carcere di Prato a uso e consumo dei detenuti che, con la presunta complicità di alcuni agenti della polizia penitenziaria e di addetti alle pulizie, sarebbero stati lasciati liberi di fare il loro comodo. E’ la pesantissima accusa che arriva dalla procura che all’alba di sabato 28 giugno ha ordinato una maxiretata dentro e fuori la casa circondariale con l’impiego di 263 tra poliziotti, carabinieri, finanzieri e appartenenti ai vari reparti della penitenziaria.
Ventisette i detenuti indagati, tutti italiani, per la maggior parte inseriti in contesti di criminalità organizzata. A loro si sommano quattro agenti e un addetto ai servizi di pulizia: le accuse mosse a vario titolo riguardano l’ingresso, il ricevimento e l’utilizzo di smartphone e di sostanze stupefacenti, in particolare cocaina e hashish, e sistemi di corruzione con il pagamento – sostiene l’accusa – di alcune migliaia di euro alle figure che si sarebbero prestate a fare da ponte tra l’interno e l’esterno della Dogaia. Altri cento detenuti sono coinvolti nell’inchiesta per aver beneficiato della disponibilità illegale dei telefoni.
L’ondata di perquisizioni ha riguardato l’intera struttura a partire dai reparti di ‘media’ e ‘alta sicurezza’ e una decina di perquisizioni tra le province di Prato, Napoli, Arezzo, Roma, Firenze e Pistoia.
Secondo le indagini, avviate a luglio del 2024 e a lungo portate avanti all’insaputa dei vertici dell’istituto, alla Dogaia sarebbero entrati con una certa facilità telefonini e stupefacenti che finivano nelle mani di detenuti di alto spessore criminale che – si legge in un comunicato della procura – “beneficiavano di particolari privilegi tra i quali la libertà di movimento e di non vigilanza e soprattutto della disponibilità di schede telefoniche con intestatari fittizi, attivate presso negozi di Roma e di Napoli, oltre che di telefoni di notevoli dimensioni e di ultima generazione collegati anche alla rete internet, e di microtelefoni e smartwatch”. La procura spiega che che erano diversi i canali di ingresso: pacchi consegnati ai detenuti durante i colloqui oppure spediti o fatti arrivare tramite personale in servizio nella struttura, oppure messi dentro palloni poi lanciati oltre i muri di recinzione o dentro pacchetti fatti volare, attraverso le fionde, dentro gli spazi comuni all’aperto. Nei mesi di indagine, sono stati trovati e sequestrati 34 telefonini, 10 dei quali scoperti in un solo giorno, l’11 gennaio scorso. Con le perquisizioni di oggi sono stati trovati quattro cellulari e un router utile per il collegamento a internet: tutto era nascosto nel reparto di Alta sicurezza, nello specifico in una cella della decima sezione. In più sono stati trovati attrezzi da lavoro e calcina, utilizzati per chiudere i fori praticati nel muro e usati come nascondigli. Nel reparto di Media sicurezza, infine, è stata rinvenuta e sequestrata droga nascosta in frigorifero e alla portata di più detenuti.
Una volta entrati, droga e telefoni venivano nascosti con cura dai detenuti. I nascondigli sono stati individuati nei doppifondi di pentole, dentro elettrodomestici, nei sanitari dei bagni smontati con arnesi forniti – dice la procura – da persone che lavoravano nel carcere, in buchi ricavati nelle pareti, negli sportelli dei frigoriferi, nelle zampe dei tavoli.
“La massima e diffusa disponibilità di telefonare senza conseguenze, con assoluta libertà, appare collegata – si legge nel comunicato della procura – al mancato controllo per più ore nel corso della giornata, in spregio ai propri doveri e alla tolleranza di alcuni appartenenti alla polizia penitenziaria e alla mancanza di idonea strumentazione di controllo come, per esempio, scanner per accertare il contenuto dei pacchi indirizzati ai detenuti”.