PRATO - La protesta dei Sudd Cobas a Prato fa saltare sfilata a New York. Toscano: “Gli operai chiedono solo di essere pagati quanto alla fine costa un capo prodotto da loro”

Il sindacato ha organizzato un'assemblea davanti alla confezione 'L'Alba' dove ieri un operaio è stato picchiato. Chiamati in causa i committenti: "Controllare i subappalti e assumersi la responsabilità di quanto accade oppure fare assunzioni dirette". La proprietà: "Una volta assunti, loro non lavorano più e ieri hanno impedito la consegna di una commessa importante"
Nadia Tarantino
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Nei giorni scorsi, all’altro capo del mondo – New York – è saltata all’ultimo momento una sfilata di alta moda. Una notizia che non interesserebbe se non fosse che a mandare a monte l’evento è stato il picchetto di Sudd Cobas davanti ad un capannone in via Lecce a Montemurlo, riconducibile – secondo il sindacato – alla confezione ‘L’alba’ di via della Lame a Prato dove martedì mattina gli operai in sciopero sono stati aggrediti e uno, insieme alla titolare colta da malore, è finito all’ospedale. Il presidio in via Lecce ha bloccato la consegna della merce e a New York l’attesissimo evento non c’è stato. Non è che Sudd Cobas ha tutto questo potere sulla filiera del lusso e dell’alta moda, è che dentro i capannoni spesso anonimi e di bassissimo profilo nelle strade assolate del distretto, operai bengalesi, cingalesi, pakistani, africani pagati una miseria e quasi sempre senza diritti confezionano capi destinati ai ricchi.

“Il tema – dice Luca Toscano, colonna del sindacato autonomo che da anni, in solitudine e qualche volta pure tra gli sberleffi, si batte contro lo sfruttamento – è moralmente e socialmente da affrontare: qui dobbiamo decidere se capi di abbigliamento che valgono centinaia di euro devono essere prodotti da lavoratori che hanno ottenuto i loro diritti, ovvero il rispetto dei contratti nazionali che tra l’altro sono i più bassi d’Europa in termini salariali, oppure se devono essere prodotti da veri e propri schiavi”.

L’accusa alla proprietà de ‘L’Alba’ è voler chiudere il sito di via delle Lame e spostare tutto in via Lecce così da scaricare i diciotto operai iscritti al sindacato assunti regolarmente lo scorso inverno e servirsi di nuova manodopera. Un’accusa respinta con forza: “Qui abbiamo avuto dei problemi a causa del maltempo e siamo stati costretti a spostare un po’ del lavoro e a mettere in cassa integrazione qualche operaio – spiega il marito della titolare formale della confezione – sia chiaro a tutti che se qui chiudiamo è per colpa dei lavoratori in sciopero che ieri hanno impedito la consegna di migliaia di giubbotti da stirare e il cliente ha annullato la commessa: se non si lavora non si incassa, se non incassa si chiude”.

Ieri mattina la tensione è salita alle stelle fino all’esplosione della rabbia, fino alla sequenza di pugni assestati ad uno dei manifestanti, un operaio bengalese di 30 anni.

Diciotto gli iscritti a Sudd Cobas assunti dalla ditta albanese: “Qui di lavoro ce n’è tanto – spiega il marito della titolare – ogni tanto si affaccia uno di questi e ci prega di dargli un posto e noi che abbiamo bisogno di manodopera lo prendiamo. E’ che da quando li abbiamo assunti regolarmente, hanno smesso di produrre: le donne stirano dieci capi e loro ne stirano uno, e ogni giorno c’è chi ha bisogno della guardia medica e si assenta due giorni, li vedi arrivare il lunedì mattina e poi tornano il giovedì. Tutti a puntare il dito contro di noi, ma è una verità parziale quella che raccontate perché noi non abbiamo video da mostrarvi”.

La scena davanti al capannone di via delle Lame non è inedita. Da anni Sudd Cobas denuncia aggressioni, minacce, squadre di picchiatori mandati a dare lezioni ai lavoratori. “Questo distretto è una giungla, questo distretto è fuori controllo. Made in Italy prodotto sulla pelle della povera gente – lo sfogo, l’ennesimo, di Luca Toscano – abbiamo convocato i committenti che non possono far finta di nulla davanti a quello che succede, e no, troppo comodo. Il sistema va cambiato, il subappalto deve essere gestito, controllato, monitorato oppure sono i committenti che devono assumere direttamente la manodopera”. Un tema. Un grande tema in un distretto con migliaia di aziende, in parte ‘fantasma’, i cui macchinari stanno accesi sette giorni su sette, 13-15 ore al giorno, e sono parte integrante delle più prestigiose passerelle dove sfilano capi che costano, nella migliore delle ipotesi, quanto una busta paga regolare (per chi ce l’ha) di chi li produce. “Vediamo se i committenti risponderanno e come risponderanno – conclude Luca Toscano – se tutto va come in passato, si indigneranno, stracceranno i contratti e ne faranno di nuovi con altre ditte. Chiediamo: a quali condizioni”? (nadia tarantino)

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